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Attribuzioni patrimoniali senza animus donandi

Con una recente Risposta a Interpello l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la cointestazione tra ex coniugi di un conto corrente finalizzato al mantenimento dei figli minori non integra il presupposto impositivo dell’imposta di donazione.

 

Nel più ampio ambito delle donazioni vi sono talune fattispecie liberali, definite “liberalità indirette”, che, pur producendo i medesimi effetti di una donazione vera e propria (c.d. “diretta” o “formale”), sono realizzate mediante atti diversi dalla donazione.
In caso di liberalità indiretta si è infatti in presenza di un atto (c.d. “negozio-mezzo”) diverso da quello della donazione formale, con il quale si ottiene lo stesso risultato che si otterrebbe attraverso la stipula di un atto di donazione formale (c.d. “negozio-fine”).
Le liberalità indirette costituiscono, al pari delle donazioni, il presupposto impositivo per l’applicazione dell’imposta di donazione ai sensi dell’art. 1, co. 1 del D.Lgs. 346/90, il quale dispone che “[l]'imposta si applica [...] ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi", seppur nei limiti di cui all’art. 56-bis dello stesso provvedimento.
La fattispecie esaminata dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello numero 205 del 9 luglio scorso riguarda un caso di cointestazione di un conto corrente tra due ex coniugi, peraltro a firma congiunta, resosi necessario, a seguito di quanto stabilito dalla sentenza di divorzio, per adempiere all’obbligo di mantenimento dei figli minori.
Nel caso in esame, il quesito dell’istante era relativo alla possibile riconducibilità dell’atto di cointestazione del conto corrente alla sfera delle liberalità indirette.
A fondamento di tale dubbio sorto in capo all’istante si precisa che nel corso degli anni, con diverse sentenze, la Corte di Cassazione si è più volte pronunciata in tal senso, ricomprendendo tra le ipotesi tipiche di liberalità indirette anche la cointestazione del conto corrente bancario.
La Suprema Corte ha in ogni caso chiarito che, al fine di qualificare tale fattispecie come liberalità indiretta, è necessario che il donante, al momento della cointestazione del conto, non sia mosso da scopo diverso da quello della liberalità in favore dell'altro cointestatario.
È infatti opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 769 del codice civile, “[l]a donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione”.
Analizzando la definizione fornita dal legislatore appare evidente che gli elementi essenziali affinché si configuri una donazione (o una liberalità indiretta) sono:

  • lo spirito di liberalità (c.d. “animus donandi”), e
  • l’arricchimento del donatario a fronte di un depauperamento del donante.

Come infatti sottolineato anche dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello oggetto del presente contributo “[e]lemento comune ad entrambe le forme di donazione, diretta o indiretta, oltre all'arricchimento del beneficiario, è dunque l'animus donandi, il quale consiste nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti da un vincolo giuridico, o extra giuridico, rilevante per l'ordinamento.
Pertanto, se l'attribuzione è posta in essere per adempiere ad un obbligo giuridico, manca lo spirito di liberalità”.
Fatte tali premesse, risulta evidente che l’atto di cointestazione del conto corrente preso in esame e posto in essere a seguito di un obbligo stabilito dal giudice in sede di sentenza di divorzio (finalizzato a garantire futura stabilità economica ai figli minorenni), sia assolutamente privo dell’animus donandi richiesto dal legislatore al fine di poter ricondurre tale fattispecie alla sfera degli atti liberali.
Con la risposta 205 del 2020 l’Agenzia delle Entrate ha quindi correttamente affermato che “la cointestazione del conto corrente […] a garanzia della sicurezza economica dei figli, in adempimento di un obbligo stabilito dal giudice in sede di sentenza di divorzio, non costituisce una forma di donazione indiretta in favore della cointestataria e, quindi, non integra il presupposto impositivo dell'imposta di donazione”.
In verità, nel caso di specie la non imponibilità discende a monte dal fatto che i genitori si sono costituiti intestatari del conto corrente non nell’interesse proprio bensì dei propri figli minorenni, unici beneficiari dello stesso, assumendo nei loro confronti la funzione di affidatari fiduciari. Non essendo i genitori beneficiari delle somme affluite su tale conto, e non arricchendosi quindi delle stesse, manca a monte il presupposto impositivo rappresentato dall’arricchimento patrimoniale.

In ogni caso il principio sopra esposto e riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate, rappresentato dalla necessaria sussistenza dell’animus donandi perché possa configurarsi una liberalità indiretta, trova applicazione generale anche ad altri casi di cointestazione di conti correnti ovvero di altri beni o diritti.

Brigitta Valas
Vasapolli & Associati / Associate
Dottore Commercialista
Professionista Accreditato dell’Associazione Il trust in Italia
Affiliate della Society of Trust and Estate Practitioner

Carlotta Valas
Vasapolli & Associati / Associate
Dottore Commercialista
Professionista Accreditato dell’Associazione Il trust in Italia
Affiliate della Society of Trust and Estate Practitioner

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